DA "dell'urbanscape"
......la società dell'informazione
ha sempre meno bisogno di grandi porzioni di terreno,......,per produrre
beni manufatturieri....La produzione si sposta negli uffici, nelle università,
nei centri di ricerca.....Sempre meno il "luogo" diventa in se fattore
importante.
In questo processo che investe
tutto il mondo occidentale le aree si liberano dalle fabbriche e grandi
risorse sono messe in gioco.....
Sull’articolo “Strutture gerarchiche
nella ricostruzione e nell’analisi critica dell’architettura”
Le
potenzialità delle strutture gerarchiche credo possano essere estese
a processi simulativi di tipo
statico-
costruttivo. Ho avuto la possibilità di osservare alcuni programmi
di elettronica che permettono il funzionamento virtuale delle schede stampate.
Questo tipo di programmi permettono la sostituzione dei componenti in tempo
reale e il riadattamento immediato di tutta la scheda alle modifiche. L’aspetto
gerarchico in questo tipo di simulazioni praticamente è inesistente,
trattandosi di un insieme di primitive poste sullo stesso livello. Supponiamo
ora di estendere un processo simile all’architettura; creiamo una serie
di primitive (fondazioni, pilastri, travi e travetti), ogni primitiva oltre
ad avere una sua dimensione, avrà una sua caratteristica meccanica
ed un suo proprio materiale. Con programmi tipo SAAP 2000 potremo di volta
in volta testare la nostra struttura in tempo reale e modificare
di conseguenza le dimensioni degli elementi che la compongono. Non solo,
potremo pensare di gerarchizzare il sistema seguendo le linee di forza:
le fondazioni per prime, seguono i pilastri , poi le travi ed infine i
travetti……..
il
secondo assaggio: il mio autoritratto
vai al progetto di Andrea Stolzi
vai
al progetto di Cristiana Spigarelli
Saggio
sul testo: Pongratz-Perbellini 2000 –
Christian Pongratz Maria Rita Perbellini, Nati con il computer,
testo e immagine, Torino 2000
Ultimamente
mi sono avvicinato allo strumento computer. I miei precedenti “approcci”
non sono stati felici e ho nutrito un sentimento di diffidenza nei confronti
di questa macchina. Il bisogno di utilizzare l’informatica nello studio
che sto effettuando diventa indispensabile e mi ha condotto a pormi delle
domande.
-
Il computer è un supporto o un mezzo di espressione? Il suo sviluppo
è un pericolo per la creatività o è una scala per
raggiungerla?
-
L’uso del computer potrebbe farci perdere l’eredità lasciata dai
maestri del passato, rendendoci schiavi del puro formalismo?
-
La simulazione è uno dei tanti metodi astratti di visualizzare la
realtà o uno dei tanti metodi reali di visualizzare l’astratto?
Queste
sono alcune domande che hanno tormentato la mia personale crisi progettuale.
Molte di queste hanno trovato risposta in questo testo; altre, purtroppo,
avranno risposta solo in un prossimo futuro. La prima illuminazione avuta
da questa lettura è stata la scoperta che le mie convinzioni sullo
sviluppo dell’informatica non erano che la punta di un iceberg, la cui
superficie sommersa è la reale potenzialità di questo strumento.
L’innovazione,
la tecnologia e quindi lo sviluppo dell’informatica hanno significato molto
per l’architettura negli ultimi decenni. I dieci architetti presi qui in
esame, utilizzano questo strumento in maniera molto differente l’uno dall’altro,
ma tutti si prefigurano il medesimo scopo: non più utilizzare il
computer per riprodurre un disegno schizzato a matita o per visualizzare
prospettive o assonometrie, ma per coadiuvare l’idea progettuale appoggiando
e supportando lo sforzo di concretizzarla.
In
sostanza, cercano di infondere nel computer la capacità di determinare
lo sviluppo di nuove forme che, in un certo senso, vengono ideate attraverso
delle regole che imposta il pregettista.
L’architetto
si serve di tutta una serie di teorie fisiche e matematiche computazionali
che, in questi ultimi tempi, si sono notevolmente sviluppate. Mi riferisco
alle teorie di Leibniz sul calcolo infinitesimale poi riprese dallo stesso
Karl Chu, che amplia il concetto di “monadologia”.
Vivere
nel “migliore dei mondi possibili” viene inteso da Leibniz come migliore
interazione tra gli elementi semplici che costituiscono la realtà
che ci circonda. Il suo intento, infatti, è quello di riassumere
tutti i concetti in elementi semplici, catalogabili con dei simboli o dei
numeri. Si potrebbe definire, il suo, un metodo “scemo”: ad ogni simbolo
corrisponde una caratteristica specifica che può essere letta ma
non interpretata.
Come
ho detto, questo concetto viene ripreso da Chu: lui stabilisce che l’universo
è costituito da “monadi”. Queste sono sostanze semplici e individuali
che hanno un proprio centro di forza e di attività. L’interazione
tra le “monadi” genera l’universo.
Torniamo
ora, come già citato in aula, al problema di Leonardo. In sostanza,
il dilemma stava nel trasmettere un disegno a distanza senza doverlo spedire
fisicamente. La soluzione si basava, appunto, su di un metodo “scemo”:
questo si serviva di una griglia numerata e della riproposizione sulla
stessa del disegno, in modo tale che ogni punto possedesse una coordinata
trasmissibile a distanza. Questa coordinata poteva essere accompagnata
da vari elementi, come ad esempio il colore nelle combinazioni di R.G.B..
Supponiamo
ora di apportare un ulteriore modifica e di accompagnare le coordinate
con una formula matematica che esprima una determinata caratteristica del
singolo punto, ad esempio la legge gravitazionale.
Ogni
punto acquisterebbe così una massa e quindi un suo determinato campo
di azione e, una volta trasmessi tutti i punti, questi potrebbero interagire
tra loro avvicinandosi, allontanandosi o saldandosi. E’ questo lo stimolo
che accompagna il lavoro di molti architetti qui citati.
Greg
Lynn, che ha chiamato “form” il suo studio, applica un metodo dinamico
di progettazione che prende spunto dai processi naturali di trasformazione,
mutazione e crescita. Il progetto risulta così animato da una propria
coscienza in grado di modificare imprevedibilmente le proprie forme.
Per
fare ciò, si serve del suo personalissimo concetto di “blob” inteso
come una “monade” primitiva in grado di intergire, distorcendo elementi
adiacenti o comunicando con altre “monadi”, così da definire un
micro-universo regolato da leggi programmabili.
E’
ovvio pensare, alla luce di questi fatti, che la geometria cartesiana e
euclidea perdono completamente di significato e al “punto”, la “retta”
e il “piano” si sostituisce il “volume”, la “deformazione” e la “interazione”.
L’architettura,
da solida diviene liquida, nel senso che non può più essere
raccontata sulla carta, ma deve esprimersi attraverso una specie di contenitore
spaziale in grado di evidenziare le trasformazioni attuate e in atto. Allo
stesso modo perdono di significato viste assonometriche o prospettiche
che bloccano un istante; è invece opportuno comunicare l’idea attraverso
simulazioni dinamiche capaci di offrire una panoramica evolutiva.
Della
stessa schiera fanno parte Jessie Reiser e Nanako Umemoto; anche loro praticano
un’architettura continuamente trasformabile e modificabile con piccole
differenze nell’aspetto più propriamente strutturale. E’ implicito
nei loro progetti l’uso della geodetica che loro intendono come “un corpo
vivo in grado di adattarsi allo spazio da esso sviluppato”. Cioè
una frontiera che non delimita, come un perimetro, lo spazio esterno da
quello interno ma lo accoglie e si modifica a seconda delle funzione che
deve svolgere. Da ciò si intende che la funzione non è più
vincolante nella definizione della forma dell’opera.
Anche
Nonchi Wang rifiuta la “vecchia” geometria, che non può più
sobbarcarsi l’onere di definire progetti ormai troppo complessi e caotici.
E proprio sulla teoria del “caos” fonda il suo pensiero e la sua architettura,
prefigurandosi un sistema di reazioni in grado di simulare e di definire
i fenomeni naturali. Il computer, infatti, è un mezzo in grado di
svolgere i complicati calcoli che una mole così grande di informazioni
implicherebbe. Non bisogna però, secondo lui, accordare ad una macchina
l’assoluta autonomia di creare forme; il rischio è di porsi gli
stessi limiti del software che si utilizza.
I
personaggi, fin qui incontrati, vengono raccolti da Pongratz e Perbellini
nell’insieme degli architetti della “de-formazione”, in quanto li muove
lo stesso stimolo della ricerca di forme nuove e mutevoli che interagiscono
con l’ambiente.
Pongratz
e Perbellini pongono la loro attenzione sul lavoro di un altro gruppo di
architetti che si distinguono per uno spiccato interesse per l’informatica
e la tecnologia.
In
sostanza si pongono il problema di come il moderno flusso di informazioni
possa coinvolgere l’architettura, o meglio, come l’architettura possa interagire
con esso. Una soluzione potrebbe essere quella di smaterializzare il contenitore
rendendolo esso stesso contenuto; un contenuto che diviene simbolo e significato
attraverso l’ausilio di immagini, di elementi digitali ed elettronici.
Questa
particolare ricerca porta a definire non più uno spazio architettonico,
ma uno spazio dell’informazione in continua evoluzione, che si modifica
visivamente in funzione e per i flussi dell’informazione. Questi architetti,
che si affiancano a quelli della “de-formazione”, vengono chiamati da Pongratz
e Perbellini della “in-formazione” per i motivi sopra elencati, che li
legano a questo fenomeno.
Neil
Denari pone la sua attenzione su come un determinato prodotto non venga
più soppesato in base alle sue qualità funzionali o sul suo
valore d’uso, bensì dal suo marchio di fabbrica, che diviene il
catalizzatore degli interessi di consumo. Nel mondo dei simboli, l’architettura
modifica il suo spazio che diviene un insieme di codici, di simboli e di
icone. Gli elementi propri dell’architettura (funzione, forma e materiali)
vengono codificati in elementi modificabili per dare vita ad ambienti dinamici.
Sullo
stesso tema si fondano i principi innovativi di Elizabeth Diller e Ricardo
Scofidio: utilizzano i film e la cinepresa come mezzi per la diffusione
dell’informazione ed inseriscono il concetto di “pubblico” all’interno
dei loro progetti. Il pubblico diviene partecipe dell’architettura, vivendola
attraverso le immagini che si modificano in tempo reale.
Il
lavoro di Winka Dubbeldam si avvale, invece, di un nuovo concetto di spazio
che è inteso come la sovrapposizione di molti strati con diverse
funzioni. In questo contesto il computer diviene unA fonte di ispirazione
e al tempo stesso un mezzo per la progettazione. Grazie ad esso, i vari
strati si intersecano, venendo così a collegarsi simultaneamente
in modo tale da adattarsi ai flussi dell’ informazione.
Marcos
Novak fa un ulteriore passo in avanti definendo l’architettura “l’interfaccia
dell’immaginazione”. La realtà virtuale rende possibile la creazione
di architetture immaginarie ma reali nel cyberspazio. Questa nuova visione
stimola tutta una serie di simulazioni atte a propagandare i nuovi concetti
di architettura dinamica.
In
questo senso Novak è definito nell’ambito dell’architettura liquida;
di un’architettura, cioè, che cambia in funzione delle varie culture,
dei differenti background e dei diversi punti di riferimento.
Su
come la forma architettonica possa essere modificata dalla lettura dei
fenomeni e dei significati dell’edificio progettato, si fonda il pensiero
di Hani Rashid e Lise Anne Couture. Sfruttando la realtà virtuale,
come già fatto da Novak, l’architettura può essere plasmata
in funzione del movimento, del suono, della luminosità e della sua
interazione con gli altri elementi.
In
questo contesto la geometria non può concludere la comunicazione
di un progetto: si avverte la necessità di raccontare diverse dimensioni
sulle quali poggiano informazioni in evoluzione.
Il
lavoro di Thomas Leeser si basa sulla seguente considerazione: ogni cosa
possiede una sua forma, che a sua volta trasmette un significato. In architettura
la forma “è parte integrante del suo linguaggio” e Leeser intende
sfatare questa radicata convinzione. Per fare ciò è necessario
riconcettualizzare i principi e le funzioni dell’architettura, in modo
tale da poter sperimentare nuove forme. Questo lavoro viene attuato in
quell’architettura che lui definisce “banale” dove il significato della
forma è più radicato. Tutto questo è attuato attraverso
l’uso del computer che, secondo Leeser, rappresenta “l’avanguardia o la
radicalità del lavoro architettonico”.
Marco Vogric