assaggi
 
il primo assaggio

DA "dell'urbanscape"
 
......la società dell'informazione ha sempre meno bisogno di grandi porzioni di terreno,......,per produrre beni manufatturieri....La produzione si sposta negli uffici, nelle università, nei centri di ricerca.....Sempre meno il "luogo" diventa in se fattore importante.
 
In questo processo che investe tutto il mondo occidentale le aree si liberano dalle fabbriche e grandi risorse sono messe in gioco.....
  



 
- Un certo Jean Gottmann autore del testo "LA CITTà INVINCIBILE" ci insegna a riconoscere le città vecchie dalle città nuove osservando il loro "skyline". In sostanza, avendo le città antiche o rinascimentali un centro monumentalizzato, stratificato e protetto, tendono a localizzare gli edifici moderni, grandi e slanciati nelle zone periferiche tanto da assumere una forma concava. al contrario le città moderne (riferito alle città americane) non avendo nessun tipo di vincolo tendono a centralizzare gli edifici alti (sede delle attività produttive) così da assumere una forma convessa. Questo pensiero crolla nel momento in cui il concetto di luogo si smaterializza. I grattacieli simbolo dell'era moderna, detentori del prestigio della società che li occupa, non avranno più futuro o finiranno con l'assolvere l'esclusivo compito di "cartelloni pubblicitari". Che senso avrà definire una città concava o convessa? il tempo: è questo un elemento che giocherà un ruolo fondamentale nel concepimento della città del futuro. Forse sarebbe meglio parlare di risparmio di tempo, nel senso che la città tenderà a velocizzare tutte quelle funzioni che potranno essere automatizzate. tutto questo per lasciare all'uomo più tempo per se stesso, da impiegare lavorando, studiando o giocando. gli edifici del futuro non so come saranno fatti, ma sembrerà sempre di stare a casa propria.


Sull’articolo “Strutture gerarchiche nella ricostruzione e nell’analisi critica dell’architettura”
 

Le potenzialità delle strutture gerarchiche credo possano essere estese a processi simulativi di tipo
statico- costruttivo. Ho avuto la possibilità di osservare alcuni programmi di elettronica che permettono il funzionamento virtuale delle schede stampate. Questo tipo di programmi permettono la sostituzione dei componenti in tempo reale e il riadattamento immediato di tutta la scheda alle modifiche. L’aspetto gerarchico in questo tipo di simulazioni praticamente è inesistente, trattandosi di un insieme di primitive poste sullo stesso livello. Supponiamo ora di estendere un processo simile all’architettura; creiamo una serie di primitive (fondazioni, pilastri, travi e travetti), ogni primitiva oltre ad avere una sua dimensione, avrà una sua  caratteristica meccanica ed un suo proprio materiale. Con programmi tipo SAAP 2000 potremo di volta in volta testare la nostra struttura in tempo reale  e modificare di conseguenza le dimensioni degli elementi che la compongono. Non solo, potremo pensare di gerarchizzare il sistema seguendo le linee di forza: le fondazioni per prime, seguono i pilastri , poi le travi ed infine i travetti……..


 
   il secondo assaggio: il mio autoritratto
 
 
 

 
 
 
"Utilizzando le porzioni di piano."......................................................................?
 

 il terzo assaggio: la mia ELLE
 
 
 
 
 
 

 


 



 il quarto assaggio: l' aggregazione
 

 

 vai al progetto di Andrea Stolzi

vai al progetto di Cristiana Spigarelli
 



 il quinto assaggio: il saggio
 
 

Saggio sul testo: Pongratz-Perbellini 2000 – Christian Pongratz  Maria Rita Perbellini, Nati con il computer, testo e immagine, Torino 2000
 

Prefazione

Ultimamente mi sono avvicinato allo strumento computer. I miei precedenti “approcci” non sono stati felici e ho nutrito un sentimento di diffidenza nei confronti di questa macchina. Il bisogno di utilizzare l’informatica nello studio che sto effettuando diventa indispensabile e mi ha condotto a pormi delle domande.
- Il computer è un supporto o un mezzo di espressione? Il suo sviluppo è un pericolo per la creatività o è una scala per raggiungerla?
- L’uso del computer potrebbe farci perdere l’eredità lasciata dai maestri del passato, rendendoci schiavi del puro formalismo?
- La simulazione è uno dei tanti metodi astratti di visualizzare la realtà o uno dei tanti metodi reali di visualizzare l’astratto?
 
 

Queste sono alcune domande che hanno tormentato la mia personale crisi progettuale. Molte di queste hanno trovato risposta in questo testo; altre, purtroppo, avranno risposta solo in un prossimo futuro. La prima illuminazione avuta da questa lettura è stata la scoperta che le mie convinzioni sullo sviluppo dell’informatica non erano che la punta di un iceberg, la cui superficie sommersa è la reale potenzialità di questo strumento.
L’innovazione, la tecnologia e quindi lo sviluppo dell’informatica hanno significato molto per l’architettura negli ultimi decenni. I dieci architetti presi qui in esame, utilizzano questo strumento in maniera molto differente l’uno dall’altro, ma tutti si prefigurano il medesimo scopo: non più utilizzare il computer per riprodurre un disegno schizzato a matita o per visualizzare prospettive o assonometrie, ma per coadiuvare l’idea progettuale appoggiando e supportando lo sforzo di concretizzarla.
In sostanza, cercano di infondere nel computer la capacità di determinare lo sviluppo di nuove forme che, in un certo senso, vengono ideate attraverso delle regole che imposta il pregettista.
L’architetto si serve di tutta una serie di teorie fisiche e matematiche computazionali che, in questi ultimi tempi, si sono notevolmente sviluppate. Mi riferisco alle teorie di Leibniz sul calcolo infinitesimale poi riprese dallo stesso Karl Chu, che amplia il concetto di “monadologia”.
Vivere nel “migliore dei mondi possibili” viene inteso da Leibniz come migliore interazione tra gli elementi semplici che costituiscono la realtà che ci circonda. Il suo intento, infatti, è quello di riassumere tutti i concetti in elementi semplici, catalogabili con dei simboli o dei numeri. Si potrebbe definire, il suo, un metodo “scemo”: ad ogni simbolo corrisponde una caratteristica specifica che può essere letta ma non interpretata.
Come ho detto, questo concetto viene ripreso da Chu: lui stabilisce che l’universo è costituito da “monadi”. Queste sono sostanze semplici e individuali che hanno un proprio centro di forza e di attività. L’interazione tra le “monadi” genera l’universo.
Torniamo ora, come già citato in aula, al problema di Leonardo. In sostanza, il dilemma stava nel trasmettere un disegno a distanza senza doverlo spedire fisicamente. La soluzione si basava, appunto, su di un metodo “scemo”: questo si serviva di una griglia numerata e della riproposizione sulla stessa del disegno, in modo tale che ogni punto possedesse una coordinata trasmissibile a distanza. Questa coordinata poteva essere accompagnata da vari elementi, come ad esempio il colore nelle combinazioni di R.G.B..
Supponiamo ora di apportare un ulteriore modifica e di accompagnare le coordinate con una formula matematica che esprima una determinata caratteristica del singolo punto, ad esempio la legge gravitazionale.
Ogni punto acquisterebbe così una massa e quindi un suo determinato campo di azione e, una volta trasmessi tutti i punti, questi potrebbero interagire tra loro avvicinandosi, allontanandosi o saldandosi. E’ questo lo stimolo che accompagna il lavoro di molti architetti qui citati.
Greg Lynn, che ha chiamato “form” il suo studio, applica un metodo dinamico di progettazione che prende spunto dai processi naturali di trasformazione, mutazione e crescita. Il progetto risulta così animato da una propria coscienza in grado di modificare imprevedibilmente le proprie forme.
Per fare ciò, si serve del suo personalissimo concetto di “blob” inteso come una “monade” primitiva in grado di intergire, distorcendo elementi adiacenti o comunicando con altre “monadi”, così da definire un micro-universo regolato da leggi programmabili.
E’ ovvio pensare, alla luce di questi fatti, che la geometria cartesiana e euclidea perdono completamente di significato e al “punto”, la “retta” e il “piano” si sostituisce il “volume”, la “deformazione” e la “interazione”.
L’architettura, da solida diviene liquida, nel senso che non può più essere raccontata sulla carta, ma deve esprimersi attraverso una specie di contenitore spaziale in grado di evidenziare le trasformazioni attuate e in atto. Allo stesso modo perdono di significato viste assonometriche o prospettiche che bloccano un istante; è invece opportuno comunicare l’idea attraverso simulazioni dinamiche capaci di offrire una panoramica evolutiva.
Della stessa schiera fanno parte Jessie Reiser e Nanako Umemoto; anche loro praticano un’architettura continuamente trasformabile e modificabile con piccole differenze nell’aspetto più propriamente strutturale. E’ implicito nei loro progetti l’uso della geodetica che loro intendono come “un corpo vivo in grado di adattarsi allo spazio da esso sviluppato”. Cioè una frontiera che non delimita, come un perimetro, lo spazio esterno da quello interno ma lo accoglie e si modifica a seconda delle funzione che deve svolgere. Da ciò si intende che la funzione non è più vincolante nella definizione della forma dell’opera.
Anche Nonchi Wang rifiuta la “vecchia” geometria, che non può più sobbarcarsi l’onere di definire progetti ormai troppo complessi e caotici. E proprio sulla teoria del “caos” fonda il suo pensiero e la sua architettura, prefigurandosi un sistema di reazioni in grado di simulare e di definire i fenomeni naturali. Il computer, infatti, è un mezzo in grado di svolgere i complicati calcoli che una mole così grande di informazioni implicherebbe. Non bisogna però, secondo lui, accordare ad una macchina l’assoluta autonomia di creare forme; il rischio è di porsi gli stessi limiti del software che si utilizza.
I personaggi, fin qui incontrati, vengono raccolti da Pongratz e Perbellini nell’insieme degli architetti della “de-formazione”, in quanto li muove lo stesso stimolo della ricerca di forme nuove e mutevoli che interagiscono con l’ambiente.
Pongratz e Perbellini pongono la loro attenzione sul lavoro di un altro gruppo di architetti che si distinguono per uno spiccato interesse per l’informatica e la tecnologia.
In sostanza si pongono il problema di come il moderno flusso di informazioni possa coinvolgere l’architettura, o meglio, come l’architettura possa interagire con esso. Una soluzione potrebbe essere quella di smaterializzare il contenitore rendendolo esso stesso contenuto; un contenuto che diviene simbolo e significato attraverso l’ausilio di immagini, di elementi digitali ed elettronici.
Questa particolare ricerca porta a definire non più uno spazio architettonico, ma uno spazio dell’informazione in continua evoluzione, che si modifica visivamente in funzione e per i flussi dell’informazione. Questi architetti, che si affiancano a quelli della “de-formazione”, vengono chiamati da Pongratz e Perbellini della “in-formazione” per i motivi sopra elencati, che li legano a questo fenomeno.
Neil Denari pone la sua attenzione su come un determinato prodotto non venga più soppesato in base alle sue qualità funzionali o sul suo valore d’uso, bensì dal suo marchio di fabbrica, che diviene il catalizzatore degli interessi di consumo. Nel mondo dei simboli, l’architettura modifica il suo spazio che diviene un insieme di codici, di simboli e di icone. Gli elementi propri dell’architettura (funzione, forma e materiali) vengono codificati in elementi modificabili per dare vita ad ambienti dinamici.
Sullo stesso tema si fondano i principi innovativi di Elizabeth Diller e Ricardo Scofidio: utilizzano i film e la cinepresa come mezzi per la diffusione dell’informazione ed inseriscono il concetto di “pubblico” all’interno dei loro progetti. Il pubblico diviene partecipe dell’architettura, vivendola attraverso le immagini che si modificano in tempo reale.
Il lavoro di Winka Dubbeldam si avvale, invece, di un nuovo concetto di spazio che è inteso come la sovrapposizione di molti strati con diverse funzioni. In questo contesto il computer diviene unA fonte di ispirazione e al tempo stesso un mezzo per la progettazione. Grazie ad esso, i vari strati si intersecano, venendo così a collegarsi simultaneamente in modo tale da adattarsi ai flussi dell’ informazione.
Marcos Novak fa un ulteriore passo in avanti definendo l’architettura “l’interfaccia dell’immaginazione”. La realtà virtuale rende possibile la creazione di architetture immaginarie ma reali nel cyberspazio. Questa nuova visione stimola tutta una serie di simulazioni atte a propagandare i nuovi concetti di architettura dinamica.
In questo senso Novak è definito nell’ambito dell’architettura liquida; di un’architettura, cioè, che cambia in funzione delle varie culture, dei differenti background e dei diversi punti di riferimento.
Su come la forma architettonica possa essere modificata dalla lettura dei fenomeni e dei significati dell’edificio progettato, si fonda il pensiero di Hani Rashid e Lise Anne Couture. Sfruttando la realtà virtuale, come già fatto da Novak, l’architettura può essere plasmata in funzione del movimento, del suono, della luminosità e della sua interazione con gli altri elementi.
In questo contesto la geometria non può concludere la comunicazione di un progetto: si avverte la necessità di raccontare diverse dimensioni sulle quali poggiano informazioni in evoluzione.
Il lavoro di Thomas Leeser si basa sulla seguente considerazione: ogni cosa possiede una sua forma, che a sua volta trasmette un significato. In architettura la forma “è parte integrante del suo linguaggio” e Leeser intende sfatare questa radicata convinzione. Per fare ciò è necessario riconcettualizzare i principi e le funzioni dell’architettura, in modo tale da poter sperimentare nuove forme. Questo lavoro viene attuato in quell’architettura che lui definisce “banale” dove il significato della forma è più radicato. Tutto questo è attuato attraverso l’uso del computer che, secondo Leeser, rappresenta “l’avanguardia o la radicalità del lavoro architettonico”.

                                                                                                                     Marco Vogric



il sesto assaggio: memoria di forma (SMA)

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